Paganica: vedere per capire
Dal 6 al 14 agosto sono stato in Abruzzo ospitato dai miei mitici vicini di casa, e come al solito ho in programma di raccontarvi la nostra vacanza. Questa volta però voglio partire da una cosa in particolare.
Il giorno in cui abbiamo deciso di scendere in Abruzzo ho iniziato a rompere le scatole a tutti per andare a visitare i luoghi del terremoto. Volevo andarci perché per un bolognese la terra è sempre piuttosto ferma. La nostra città è relativamente al sicuro dai terremoti e io non ho mai visto un terremoto “serio” né ho mai avuto paura di quelli piccoli.
Dovevo vedere con i miei occhi per capire. Le immagini al telegiornale sono sempre più scioccanti ma sempre più lontante, mi fanno sapere cosa succede nel mondo ma non sono in grado di farmi capire.
Allora sono andato a vedere di persona l’epicentro del terremoto: Paganica. È impressionante.
In città 4 edifici su 5 sono inagibili.
Il centro è chiuso.
Il bar della piazza è un container.
Il comune è un container.
La vita nuova si è spostata 1 Km più giù, dove hanno costruito altri edifici. Quella vecchia è rimasta sepolta sotto le macerie delle case distrutte dal tremore della terra.
Per capire la violenza di ciò che è accaduto è sufficiente entrare in centro scavalcando una transenna, come fanno quelli che vivono ancora lì, e sbirciare dentro una delle tante case inagibili. Accatastati tutti insieme sul pavimento vedi pezzi di muro, una porta, un tavolo divelto, un girello da bambini, un pezzo di un letto, un telefono con il filo che ancora pende dal muro, un lampadario ancora attaccato al pezzetto di soffitto che lo sorreggeva, un attaccapanni, ecc. Il pavimento neanche si vede.
Io l’ho fatto, e dopo poco ho tolto lo sguardo, non perché ormai avevo visto abbastanza ma perché non riuscivo più a sostenere la vista dell’evidenza dei fatti. Allontanandomi dall’edificio mi sono fermato un secondo pensando alle persone che da un giorno all’altro sono passate dalla vita vecchia a quella nuova.
Volevo dire qualcosa. Volevo disperatamente dire qualcosa a me stesso per rassicurarmi, ma non ho trovato nessuna parola adatta.
E allora ho detto una preghiera.